Con il crepuscolo della vita di Van't Hoff, il mondo del motorsport si ritrova a fare i conti con una realtà spietata. Quando Hubert ci ha lasciati, le lacrime sono state versate, le promesse fatte, eppure, siamo ancora qui a ripeterci. Ancora in mezzo al tumulto di una gara, con il rischio a tracciare le linee sulle nostre fronti, l'adrenalina a pulsare nelle vene.

La morte di Van't Hoff potrebbe finalmente servire come un campanello d'allarme definitivo, un grido di allarme in un mare di voci disorientate. È l'ora di una profonda riflessione, un cambio di paradigma è necessario. In particolare, il problema persistente del numero eccessivo di auto nelle categorie inferiori. Il mondo del motorsport può, e deve, fare di più.

Non è più possibile ignorare i pericoli di circuiti come Spa, specialmente in condizioni di pioggia. La vista limitata, le vetture numerose, il tumulto e la concitazione, tutto ciò può essere letale per piloti acerbi anche se talentuosi, ragazzi di appena 16-18 anni. E non si tratta solo della protezione fisica. Che tipo di lezione impartiamo ai nostri giovani quando il rischio supera la ragione, quando la competizione supera la cautela?

La maturazione dei nostri giovani piloti non può, e non deve, essere misurata in termini di resistenza al rischio, ma piuttosto nella capacità di prendere decisioni ponderate, nel rispetto del pericolo e nel valore dell'autoconservazione. Non si può e non si deve tollerare una corrida di vita o di morte, specialmente quando la visibilità è bassa e le condizioni della pista non sono ottimali.

Il motorsport, nella sua essenza, è un gioco di rischio e coraggio, ma non dovrebbe mai diventare una scommessa con la vita. La sicurezza non è negoziabile. Il rischio, pur essendo una componente intrinseca di questo sport, deve essere minimizzato e gestito con la massima cura.

Per queste ragioni, va rivolto un appello alla FRECA e alla F4 in maniera collatearle. È tempo di una seria riflessione sulla conduzione di gare in condizioni potenzialmente pericolose. È il momento di decidere se ha senso correre l'ultimo giro senza la Safety Car, in una sorta di corrida in cui i piloti in fondo non vedono nulla. In memoria di Van't Hoff, va chiesto un cambiamento radicale nell'approccio alla sicurezza nel motorsport. Il pericolo non può essere eliminato, ma può essere mitigato. Non lasciamo che il coraggio dei nostri giovani piloti venga macchiato dalla tragedia.

La morte di Van't Hoff ci ha dato una nuova prospettiva. È tempo di riflettere, di agire, di cambiare. Dobbiamo fare di più per proteggere i nostri giovani piloti. La loro vita non è un prezzo da pagare per la nostra passione per il motorsport.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 01 luglio 2023 alle 13:53
Autore: Mirko Borghesi / Twitter: @@BorghesiMirko
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