Quando Lewis Hamilton ha annunciato il suo trasferimento alla Ferrari, l’intero paddock della Formula 1 ha trattenuto il respiro. Non si trattava soltanto di un’operazione di mercato sensazionale, ma di un passaggio epocale. Il pilota più vincente della storia, colui che ha ridefinito gli standard della modernità in pista, lasciava la sua "casa" Mercedes per abbracciare la leggenda, la passione, il mito Ferrari. Era l’inizio di un nuovo capitolo. O almeno, così sembrava.
Ora che le prime gare della stagione 2025 sono andate in archivio, la realtà è meno cinematografica del previsto. Hamilton non sta dominando. Anzi, fa fatica. I punti stentano ad arrivare, le prestazioni non decollano, e quel sogno tutto rosso inizia a mostrare crepe profonde. Ma è davvero tutta colpa sua?
Per rispondere, bisogna guardare indietro. Non a ieri, ma a tre anni fa. Alla fine del 2021, Hamilton si trovava a un passo dal suo ottavo titolo mondiale. Poi, l’epilogo di Abu Dhabi discutibile, drammatico, storico ha cambiato tutto. Nel 2022, con il nuovo regolamento tecnico, Mercedes ha perso la bussola. Le famose “porpoising” (le oscillazioni aerodinamiche verticali) hanno trasformato la W13 in un incubo inguidabile. E Hamilton, che da anni dettava il ritmo della Formula 1, ha iniziato a rincorrere.
Il risultato? Una macchina che non lo seguiva più, e un giovane compagno come George Russell che, pur non superiore in talento assoluto, si è adattato più in fretta, ha capitalizzato le occasioni, e lo ha battuto in classifica. La narrazione mediatica è cambiata: "Hamilton in declino", "Russell è il futuro", "il tempo del Re è finito".
Ma era davvero così?
Hamilton è sempre stato un pilota “di sensibilità”, capace di trovare ritmo e fiducia su monoposto bilanciate, stabili, rispondenti alle sue esigenze di guida. Quando la vettura è scesa di livello, il suo stile che richiede molta fiducia nella stabilità del retrotreno è entrato in crisi. A quel punto, sono emerse due verità: la prima è che il talento non basta se il mezzo non ti supporta, la seconda è che i giovani piloti, cresciuti in simulatori e abituati a vetture più nervose, hanno spesso più facilità ad adattarsi.
Quando Hamilton è sbarcato a Maranello, il messaggio era chiaro: serviva un uomo che portasse metodo, esperienza vincente e leadership. Il suo arrivo era stato celebrato come il tassello definitivo per rilanciare una squadra storica ma smarrita. Eppure, il 2025 ha restituito una realtà molto simile a quella Mercedes 2022-2024: una vettura ancora lontana dal livello delle McLaren.
In questo contesto, Charles Leclerc il talento di casa, l’uomo su cui la Ferrari ha investito per il futuro sta regolarmente battendo Hamilton sia in qualifica che in gara. Ma qui, ancora una volta, serve un’analisi più profonda: Leclerc conosce la squadra, conosce la macchina, e ha un feeling costruito negli anni. Hamilton, al contrario, è nella fase più difficile: deve adattarsi a una nuova struttura, a un nuovo linguaggio tecnico, e a una vettura che, ad oggi, sembra più un ostacolo che un alleato.
Quindi sì, possiamo dire che Hamilton sta deludendo. Ma sarebbe sbagliato, forse anche ingiusto, pensare che il problema sia solo lui. Il vero tema è strutturale. È la Formula 1 moderna, che punisce ogni minima mancanza tecnica. È un sistema in cui contano sempre di più i microdettagli aerodinamici, la gestione delle gomme, le simulazioni e l’interpretazione delle finestre operative delle monoposto. E in questo contesto, se non hai la macchina giusta, puoi essere anche un sette volte campione del mondo, ma resterai dietro.
Hamilton lo sa. E forse, in cuor suo, sapeva anche che non sarebbe stato facile. Ma ciò che sta vivendo oggi a Maranello è esattamente quello che ha vissuto negli ultimi anni in Mercedes: una corsa a ostacoli più tecnica che personale, più legata al progetto macchina che al suo piede destro.
Un esempio lampante è la sua vittoria nella Sprint Race in Cina: un momento in cui ha saputo capitalizzare sulla sua esperienza e sulle sue doti di pilota, nonostante la difficoltà di adattarsi alla macchina. Quella vittoria, benché arrivata in un formato più breve e conciso, ha mostrato che Hamilton è ancora capace di brillare quando le circostanze lo permettono. Ma la costanza è un altro discorso.
La narrativa facile direbbe che Hamilton è al tramonto, che ha sbagliato tutto. Ma la verità, forse, è molto più semplice e amara: dal 2022 in poi, Hamilton non ha più avuto una macchina all’altezza del suo nome. E da allora, la nuova generazione Russell, Norris, Piastri ha cominciato a metterlo alle corde, esaltata da vetture più adatte alle loro mani e al loro stile.
Il sogno Ferrari non è infranto. Ma è più lento del previsto. E ora Hamilton si trova a dover fare i conti non con un problema di talento, ma con una sfida tecnica e umana di proporzioni enormi. Il finale è ancora tutto da scrivere. Ma una cosa è certa: non sarà la macchina a definire il valore di Lewis Hamilton. Perché la leggenda, quella vera, sa andare oltre i numeri. Anche quando il rosso, per ora, sembra solo un colore.
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