La velocità è un’ossessione che accompagna la Formula 1 fin dai suoi albori. Non è mai stata solo un valore numerico, ma una dimensione quasi spirituale: il confine sottile tra ciò che la fisica permette e ciò che l’uomo osa immaginare. Si dice che nel 2026 le monoposto potranno toccare i 400 km/h in pista, un dato che fa sognare e tremare allo stesso tempo. Ma per chi conosce la storia, quei numeri risuonano con un ricordo preciso: il giorno in cui la Honda, nel 2006, portò una Formula 1 a 397 km/h, sfidando la logica e toccando con mano l’impossibile.
L’estate del 2006 vide la Honda impegnata in un progetto tanto folle quanto visionario: il Bonneville 400 Project. L’obiettivo era semplice da scrivere, ma immenso da realizzare: toccare i 400 km/h con una Formula 1. La BAR 007, erede della vettura con cui Jenson Button aveva riportato Honda al podio, venne modificata radicalmente. Via l’ala posteriore, sostituita da una pinna stabilizzatrice; assetto ribassato, rapporti del cambio più lunghi, gomme speciali per resistere alle sollecitazioni. Il cuore era un V10 Honda da oltre 900 cavalli, libero dai limiti regolamentari che in pista lo costringevano a scendere di giri.
Al volante c’era Alan van der Merwe, giovane collaudatore sudafricano, scelto per il suo sangue freddo e la capacità di interpretare una macchina imprevedibile. “A quelle velocità non guidi più, voli basso”, racconterà anni dopo. Nei leggendari Salt Flats di Bonneville, la Honda raggiunse ufficialmente i 397,36 km/h. Mai una monoposto di F1 aveva corso così veloce. Nei test successivi nel deserto del Mojave, la vettura arrivò addirittura a 413,2 km/h: un record ufficioso, non omologato dalla FIA, ma sufficiente a trasformare quell’esperimento in mito.
Nick Fry, allora team principal Honda, spiegò: “Volevamo dimostrare che la Formula 1 non è solo sport, ma anche audacia tecnologica. Non ci interessava solo il numero, ma il messaggio: osare sempre.”
Oggi, a vent’anni di distanza, la Formula 1 guarda avanti. Il 2026 sarà l’anno della rivoluzione regolamentare: nuove power unit ibride da 1000 cavalli, maggiore efficienza aerodinamica, riduzione del peso e carburanti sostenibili. Secondo alcune simulazioni interne, nei circuiti più veloci come Monza o Las Vegas, le monoposto potrebbero davvero sfiorare i 400 km/h in condizioni di gara.
Eppure, la domanda resta: sarà la stessa cosa? Nel 2006, il brivido era puro, incontrollato, quasi folle. Oggi i sistemi elettronici, i simulatori e la galleria del vento riducono al minimo l’imprevisto. Jacques Villeneuve, campione del mondo 1997, ha recentemente dichiarato: “La velocità senza rischio non ha lo stesso sapore. I piloti di oggi vanno più forte, ma vivono meno intensamente la paura del limite.”
È un pensiero che divide. Da una parte la consapevolezza che la sicurezza è un valore irrinunciabile, dall’altra la nostalgia di un’epoca in cui la F1 era anche un confronto diretto con il pericolo. Forse, più che raggiungere i 400 km/h, la vera sfida sarà restituire alla velocità la sua dimensione emotiva.
Il record Honda del 2006 non fu un semplice esperimento, ma un promemoria per la Formula 1: la velocità è cultura, immaginario collettivo, sfida filosofica. È il ricordo di Gilles Villeneuve che a Monza nel 1981 sfiorava i 352 km/h con la sua Ferrari turbo. È Ayrton Senna che raccontava la sensazione di “uscire dal proprio corpo” quando percorreva Eau Rouge a pieno gas. È la poesia meccanica che si ripete in ogni generazione di appassionati.
Il 2026 promette numeri più grandi, dati più precisi, ingegneria più raffinata. Ma senza quella tensione emotiva che lega uomo e macchina, quei 400 km/h rischiano di essere un primato sterile. Forse, il compito della F1 del futuro non è solo correre più veloce, ma farci battere il cuore come nel 2006, quando un pilota e una Honda senza ali sfidarono il vento del deserto.
La storia ci insegna che la velocità non è mai fine a sé stessa. I 397 km/h della Honda del 2006 non sono stati battuti in pista, ma restano impressi nella memoria collettiva come un simbolo di coraggio e di follia creativa. Nel 2026, quando le monoposto supereranno davvero la barriera dei 400 km/h, il ricordo di quella sfida tornerà prepotente.
E sarà lì che il cerchio si chiuderà: il futuro che realizza il sogno del passato. Perché la velocità, in fondo, non è mai solo numeri: è immaginazione, rischio, memoria. È il filo invisibile che lega una Honda lanciata nel deserto a un’auto del futuro che sfreccia a Monza. È la poesia eterna della Formula 1.
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