“Troppo morbido”, “non abbastanza cattivo”, “fin troppo onesto”: giudizi che hanno accompagnato Norris per buona parte della stagione. A lui, però, interessava altro. “Ho corso come Lando, non come qualcun altro”, ha chiarito senza esitazioni. In un campionato vissuto sul filo della pressione, il britannico ha scelto di non snaturarsi, rifiutando l’idea che per diventare campione fosse necessario adottare un approccio più scorretto. “Avrei potuto spingere di più per rallentare gli altri? Certo. Ma è così che voglio correre? No”, ha spiegato. Una presa di posizione netta, che rivela una visione chiara: vincere sì, ma non a qualsiasi prezzo.
Errori, dubbi e crescita reale
La stagione non è stata lineare. “Ho commesso errori, mi sono messo in imbarazzo”, ha ammesso Norris ricordando il difficile weekend di Montréal e le successive difficoltà tecniche. Anche quando i risultati non arrivavano, però, la reazione non è stata di chiusura, ma di analisi. “Ho imparato da quell’esperienza e ora sono un pilota migliore rispetto all’inizio dell’anno”, ha raccontato. Lavoro extra al simulatore, studio più approfondito dei dati e un confronto continuo con professionisti di diverse discipline hanno segnato la svolta. “Mi sono detto: ‘Sono indietro rispetto a un pilota velocissimo e devo migliorare’”, trasformando lo svantaggio in uno stimolo concreto.
Un titolo che vale più della coppa
Essere campione del mondo è motivo di orgoglio, ma non per le ragioni più scontate. “Non sono orgoglioso solo perché ho vinto il titolo”, ha precisato Norris. La vera soddisfazione nasce dall’aver ripagato chi ha lavorato nell’ombra. “Volevo dimostrare al team che il loro sacrificio non è stato inutile”, ha spiegato, pensando a ingegneri e meccanici spesso lontani dalle famiglie. E poi c’è l’aspetto forse più raro in Formula 1: “Sono riuscito a vincere a modo mio, senza compromettere chi sono”. In un paddock che premia l’estremo, Norris ha dimostrato che anche la coerenza può portare al vertice.
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